Un libertario, due comunisti ed un "rottamatore". Una stralunata riflessione italo-cilena su due attualissimi volti della politica internazionale vista dagli occhi di due studenti agitati. Di là, dove le ideologie hanno ancora un significato.
Nel 2009 abitavo a Venezia con Miguel Ángel, studente di architettura della Universidad de Chile in temporanea trasferta lagunare per via di uno scambio interuniversitario. Mígue era uno dei protagonisti del movimento studentesco della sua facoltà, un anarchico libertario cresciuto in un quartiere periferico di Santiago, profondo conoscitore della società e delle problematiche del suo paese. Sette mesi s’è fermato a Venezia, e interminabili sono stati i nostri discorsi politici, che partivano con una birra alle sei, continuavano con una bottiglia di vinaccio a mezzanotte e terminavano con le grappe alle cinque del mattino, il tempo di vedere l’alba e cadere riversi sulle nostre posizioni: un comunista e un anarchico che si scontravano a colpi di idee, accomunati dal fatto che il mondo, così com’era, faceva schifo a tutti e due.
Di Miguel mi colpiva sempre la determinazione; la profonda convinzione che il suo agire politico avrebbe portato da qualche parte si scontrava con il mio atteggiamento rivoluzionario ma con una pesante dose di disillusione, causata da troppe battaglie finite in modo deludente. Mi raccontava di come il movimento studentesco facesse tremare i palazzi del potere di Santiago, cose che mi parevano impossibili in rapporto ai nostri ridicoli tentativi “insurrezionali” che si bloccavano sempre a dicembre e, a gennaio, ci ritrovavamo in quattro gatti, magari perdendoci pure la sessione e rischiando di pagare un anno in più di quelle tasse che ci davano tanto fastidio a fronte della sistematica demolizione dell’università italiana.
Per comprendere la potenza del movimento studentesco cileno basti pensare a come, nel 2011, abbia richiesto e ottenuto le dimissioni di Felipe Bulnes, Ministro dell’Educazione del governo post – pinochista di Sebastián Piñera, il primo di centrodestra dopo il referendum che, nel 1988, aveva detto “NO” alla dittatura. Lo stesso governo dichiarò che non si trattava di stanchezza o problemi personali dell’avvocato Bulnes, ma della necessità di sostituire una persona simbolo del conflitto con qualcuno che cercasse di rappresentare il futuro dell’educazione cilena, una conquista importantissima che dimostrava la potenza di un movimento composto di studenti e lavoratori. Come se l’Onda anomala, nel 2008, avesse causato le dimissioni di Maria Stella Gelmini, impensabile anche per noi che credevamo nelle proteste.
Il 17 novembre 2013, alcune figure guida del movimento studentesco sono state elette nel parlamento che proverà finalmente a cambiare la costituzione del Paese, quasi invariata dal periodo della dittatura e rimasta tale a causa di un sistema elettorale bipolare progettato a regola d’arte, che garantiva alla destra, anche con una bassissima percentuale di consenso reale, di controllare la metà del parlamento e ingessarne l’azione. Pensando alle dittature filostatunitensi del Cono sud, le prime immagini che ci sovvengono sono i desaparecidos, gli omicidi di Victor Jara e Pablo Neruda o gli Inti – Illimani che si rifugiano in Italia, ma dimentichiamo che quel periodo è stato come un disastro nucleare, i cui effetti sono molto più pericolosi anni dopo l’incidente. Il “tumore” del Cile è stato il liberismo estremo sostenuto anche dai governi della Concertación post Pinochet, da una parte a causa di quella costituzione che ha impedito al paese di diventare più “sociale”, dall’altra perché i giovani sono stati tenuti cautamente alla larga dal potere, almeno fino ad oggi. Due ragazze e un ragazzo proveranno a fare davvero la Rivoluzione dall’interno, si chiamano Camila Vallejo, Karol Cariola e Gabriel Borico e, sì, sono giovani e comunisti. I detrattori, che non sbagliano a temerli, hanno usato i mezzi più infimi per screditare i candidati che hanno deciso di appoggiare la coalizione della socialista Michelle Bachelet; sono arrivati addirittura ad insultare Camila sfruttando la sua recente gravidanza e ad accusarla di essere in quella posizione solo perché di bell’aspetto. Basta ascoltare un suo discorso su youtube per capire che la ragazza di stoffa ne ha da vendere e fa bollire il sangue più di Salvador Allende per la sua forza prima che per la sua bellezza. Questo, però, non è più un problema, saranno i fatti a parlare.
Da quando parlavo con Mígue, in Italia non esistono guide né tantomeno un movimento coeso, i giovani non hanno, per ora, nessuna speranza di poter dire la loro e, chi si erge a rappresentante della categoria, non è stato giovane nemmeno quando l’età anagrafica gli permetteva di definirsi tale. Matteo Renzi, nel periodo in cui si dovrebbe essere ribelli per antonomasia, scriveva una tesi sull’unico sindaco democristiano della rossissima Firenze del dopoguerra, Giorgio La Pira.
C’è quasi il sospetto che oggi se la stia godendo nel divenire segretario e, quasi certamente, candidato premier di quella formazione politica che nemmeno ricorda, anzi nega, di essere figlia del più grande partito comunista dell’Europa occidentale. Quello che ancora è sostenuto consensi dei nostalgici, convinti di votare ancora il Partito, come mia madre, mentre ormai avvallano soltanto una triste ricetta liberista che nulla ha di comunista e nemmeno di socialdemocratico.
Io credo che i giovani italiani abbiano bisogno di ricominciare a credere che otro mundo sea posible. Sappi, Matteo, che faremo di tutto per riprenderci un termine che appartiene a noi e non a un “quasiquarantenne” catramato di fondotinta, almeno ci proveremo a non star fermi a guardare: è tempo.
Il mio amico Miguel tornò a casa in anticipo, nel marzo 2010, a causa del terremoto che colpì il sud del Cile, perché in Europa si sentiva impotente, voleva dare il suo contributo a superare il brutto momento e tornare alle sue lotte. Quelle stesse lotte che, lo spero tanto, da novembre 2013, potranno davvero cambiare il Paese. «Io me ne vado – ha detto – ma se mai dovessi fare una rivoluzione, la farai anche tu, la faremo insieme». Estamos hablando, compañero.
David Angeli per Blare Out
articolo pubblicato il 21/11/2013
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