Massimo Carlotto ci porta letteralmente con sé in giro per Buenos Aires a bordo dell'autobus che la sera fa tappa nei luoghi dell'orrore, dove venivano sequestrati gli oppositori al regime. Un Horror Tour infinito, dove ogni calle ha qualcosa da raccontare, dove ogni famiglia ha vissuto un dramma. Sono frammenti quelli che ci racconta Carlotto, ognuno di essi tristemente vero. Sono così tanti che alla fine non distingui più dove ne finisce uno e dove ne comincia un altro: «es siempre la misma canción. Non ti sei accorto che le storie sono tutte uguali?».
Dal momento in cui attraversa avenida Corrientes e sale all'appartamento del quarto piano, l'autore-protagonista si ritrova immerso nelle battaglie delle Abuelas e sarà travolto dalla loro forza vitale, dalla loro voglia di giustizia, dal loro non arrendersi. In una parola dal loro amore. Fra le righe di una narrazione scorrevole si sprecano i riferimenti ai nomi e cognomi dei buoni e dei cattivi, gli articoli di giornale, le date, i fatti, i processi, le ricostruzioni storiche, perfino le spiegazioni quasi accademiche. C'è tutta la società argentina di quegli anni tanto fulminei quanto drammatici dentro a questo libro, o almeno quello che può esserci in un romanzo storico. Senza dimenticare (soprattutto nell'ultima parte) i riferimenti alle lotte fuori dal confine: Perù, Cile, Nicaragua, laddove le vicende spingono Carlotto, a ricordarci che tutto questo non è solamente argentino, ma che tutto il continente latinoamericano è parte della stessa triste storia.
In queste duecento pagine c'è tutto l'orrore, la barbarie, la disperazione di chi un giorno è rientrato a casa e non ha trovato più i suoi cari, che una patota se los llevaron. C'è tanta sofferrenza raccontata e, salvo per le ultime righe, anche poca speranza. Il libro è scritto in piena presidenza Menem e la disillusione per una giustizia che non arriva e mai arriverà è più grande di qualsiasi cosa (sarebbe bello sapere oggi cosa ne pensa l'autore, dopo la storica riapertura dei processi operata dai Kirchner e le condanne per i militari).
Quelle ragazze irregolari, incuranti di tutto, continuano a marciare ogni giovedì in Plaza de Mayo con il loro fazzoletto bianco sul capo. Continuano a cercare i loro figli e a restituire loro l'identità rubata, continuano a cercare verità e giustizia e c'è da giurarci che non si fermeranno mai, perchè per finire quest'Horror Tour «non ti basterebbero tutte le notti della tua vita».
«I miei figli erano italiani. Prima hanno sequestrato Michelangelo, poi Silvia. Me l'hanno portata via sotto gli occhi, ai piedi della scalinata di una chiesa. Mi feci il segno della croce. Fu il mio modo di dirle addio.»
«Quando hanno portato via i miei figli avevo solo quarantotto anni e mi sono sentita vecchia; oggi ne ho sessantotto ma mi sento vent'anni più giovane perchè ho imparato che l'unica battaglia che si perde è quella che si abbandona, e perchè ho imparato a non patteggiare, a non arrendermi, a non tacere. E tutto questo me l'hanno insegnato i miei figli.»
«- Pensi che ce la faranno? - No. Sarà la solita banda di sognatori che impugna le armi perhè non sopporta la tirannia e la fame. Tenteranno qualche azione disperata e saranno tutti ammazzati perchè in questo mondo chi rischia la vita per salvare dei prigionieri è solo un romantico dilettante. Gli altri invece sono dei professionisti della ferocia. E' tutta qui la differenza tra vincitori e perdenti.»
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