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29 marzo 2010

Fotoromanzo Rosso. L'happy end secondo il Pci

Tra le carte della federazione bolognese spunta la propaganda pop del partito: racconti sulla vittoria del proletariato, gialli satirici sulla Dc, lettere mielose del rude sindaco Dozza

Il primo documento che ti mostrano le archiviste della Fondazione Gramsci è un fascio di cartoline illustrate, in cui si vedono coppie impegnate a scambiarsi soavi effusioni. La firma che si legge sul rovescio, in calce al testo, è sempre la stessa: «Il tuo Pippo». Il mittente è Giuseppe Dozza, detto appunto Pippo, il futuro sindaco di Bologna, a quel tempo (nel 1918 o nel ' 19: così indicano le date postali) è appena uscito dall'adolescenza. La destinataria è Tina, cioè Santa Dall'Osso, bolognese anche lei, che ne condividerà, da moglie, le tumultuose peripezie di oppositore politico sotto il fascio, accompagnando poi la sua lunga apoteosi nel comunismo emiliano. Se di Dozza non conoscessimo l' indole combattiva - a quattordici anni, nel ' 15, era già iscritto al Psi e a venti, nel Pci appena nato, esordì come seguace di Amadeo Bordiga, diventando segretario della federazione bolognese- lo stile di questi cimeli ci ricorderebbe i biglietti che avvolgono i cioccolatini, di marca e non. «Amoruccio mio, ieri sera corsi, corsi tanto che alle dieci precise ero alla porta di casa tua», così Pippo scrive, per esempio, alla ragazza, «ma tu te ne eri già andata. Rimasi sconcertato e deluso, me ne andai a letto alquanto malinconico. Che cosa facevi tu mentre il tuo Pippetto se ne tornava dolente alla sua casuccia? Probabilmente pensava lui. Gradirei che me lo dicessi, donnino mio». «Tina mia», incalza un' altra cartolina rosa, «ho ancora davanti a me il ricordo di ieri sera. Quanto grande è il tuo cuore, Tinuccia!». Le tre donne impegnate a riordinare l' archivio provinciale e regionale del Pci bolognese - Siriana Suprani, direttrice della Fondazione Gramsci, Simona Granelli, addetta alla documentazione e stampa, e l' archivista professionale Sara Verrini - maneggiano simili carte quasi si trattasse di materiali decisivi per la storia del proletariato. Non è il caso, quindi, di mostrarsi sconcertati. E da che cosa, poi? Se Dozza fu per decenni - dal ' 45 al ' 66, a volerne considerare solo il ruolo di sindaco - al vertice della sinistra emiliana fino a modellarla a propria immagine, testimonianze di questo tipo assumono un valore antropologico e "di massa". L' aggettivo "comunista" si carica d' un gusto speciale gemellandosi con l' aggettivo "bolognese". Il tutto si rivela una spia per scrutare pensieri e opere della più importante federazione "rossa" dell'Occidente. Amputato da simili reliquie di vissuto, qualunque archivio rischia di somigliare a un ammasso di polvere: nel capoluogo emiliano questa eventualità è evitata in partenza. È lecito, semmai, avvicinarsi a tali reperti con la nostalgia del come eravamo. O meglio del «come erano». Di vissuto, e perfino di colore locale, le carte bolognesi traboccano. Le riserve opposte dai comunisti di mezzo mondo alla diffusione della pubblicistica popolare di derivazione yankee (e perciò pericolosamente "borghese") vengono qui scavalcate a piè pari. E a chi consulta l' archivio può accadere di divertirsi. Inducono al sorriso, per cominciare, i fascicoli a stampa che la Fondazione bolognese conserva come esempi di propaganda a sfondo erotico-sociale. Sto parlando della serie di fumetti a dispense, prima disegnati al tratto e poi fotografici - sulla scia dei fotoromanzi, inventati nel 1946 dall'editore marchigiano Cino del Duca e da lui introdotti in Francia con l' etichetta di presse du coeur - che negli anni Cinquanta si avviano a sedurre il pubblico, specie femminile, sotto ogni latitudine. L' "altra metà del cielo comunista" di educazione emiliana se ne lascia conquistare. Un amore contrastato agita le tavole in bianco e nero della story intitolata La grande speranza, edita a cura della federazione bolognese e venduta a lire cinquanta grazie a una "diffusione militante". Il plot è elementare. Mentre divampano le consuete peripezie all'interno di una giovane coppia senza lavoro, il temporaneo ritorno a Bologna del padre della ragazza, che era emigrato in Belgio come minatore, ristabilisce la pace fra i due. Il genitore deve rientrare al suo duro lavoro all' estero pur senza illudersi (dichiara) che «il governo democristiano si preoccupi di difendere i diritti dei minatori italiani». Ma fa in tempo a richiamare i giovani al dovere di partito. Infuria intanto la campagna per le politiche del 1958. Nel finale del plot irrompono i seggi elettorali. Adesso la coppia, redenta e rianimata, sa cosa fare nel segreto dell' urna. Non è un caso isolato. L'happy end di ciascuna storia lascia una traccia sulle schede. Anche nei fascicoli a puntate intitolati Più forte del destino, da deus ex machina funziona un anziano del partito, Antonio. È lui a suggerire a Giorgio e Sandra- coppia in rituale difficoltà e con un figlio appena nato - la soluzione. «Pensa, Sandra» ricorda il maturo militante alla neo-madre, «a Bologna il Comune ha messo in ogni quartiere un centro d' assistenza. Là il disoccupato può mangiare gratis alla mensa,e le donne come te hanno un aiuto prima e dopo il parto». Nel fotogramma finale l' entusiasmo dei due giovani prorompe: «Ora che Antonio ci ha dettato la strada, non ci resta che seguirla fino in fondo e votare per chi ci protegge e ci difende». "Velina" in anticipo sui tempi o cover-girl che sia, nella controcopertina un «donnino» biondo completo di rotondità impetuose ripete l' invito accanto a un emblema con falce e martello: «Vota così». Una variante si coglie al termine di una puntata della stessa serie, in cui la nascita di una piccola erede viene praticamente a coincidere con le elezioni. Come la chiameremo?, si domanda la puerpera, fiduciosa del responso delle urne. «Chiamiamola Vittoria. Il suo nome sarà il simbolo di quell'avvenire di libertà e di rispetto che avrà avanti a sé». Ottimismo a comando, in partenza da Botteghe Oscure? Non si può dubitare che sia quella l' origine prima. Ma Bologna non è mica la periferia dell'impero italcomunista:è la patria di un modello etico-politico, l' opificio d' un linguaggio comunicativo, e il locale popolo comunista lo sa. Ci si arrampica su ogni ramo della pubblicistica pop del tempo: la fortuna dei gialli Mondadori trova una replica in chiave bolognese con colorite vicende sottogovernative della Dc, «il partito degli scandali e della corruzione». Gli intrecci possono intitolarsi Il colpo dei 993 miliardi e mezzo, oppure, evocando turpi personaggi della cronaca coeva, Un Sindaco, due Ministri, un Vescovo. In quarta di copertina, sopra l' invito al voto, figura stavolta un cruciverba "proletario". Confesso d' essermi provato a risolverlo. Al quesito «Bisogna metterci i guerrafondai», sei lettere, cosa rispondere se non «galera»? A «Lo è Fanfani davanti al presidente della Confindustria» ho reagito con l' aggettivo «prono». La domanda «Qual è la risposta della Dc alla richiesta di riforme?», due lettere, mi è parso suggerisse un «no». Ecco, dopo tutto, un esercizio che ti ringiovanisce.

© Nello Ajello
Cultura - La Repubblica, 28 marzo 2010


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