América Latina, Fútbol, Rock'n'Roll

24 febbraio 2008

Charles Bukowski - Storie di ordinaria follia

Il libro è un'antologia, quasi una raccolta, un best of. Una quarantina di racconti scritti per lo più in seduta stante, dopo una sbronza più grossa delle altre, dopo una giornata storta alle corse dei cavalli, dopo l'ennesima chiavata con una sconosciuta. E i racconti rendono queste storie quasi metafisiche, nella Los Angeles di Bukowski. Racconti che sembrano non dover finire mai, salvo poi accorgersi che alla fine non c'era poi molto da raccontare, se non la realtà. Una Los Angeles schiacciata fra poliziotti-puttane-cavalli-barboni dove l'odore del sudiciume traspare dalle pagine ancor prima che tu possa leggere la fine del racconto, chiuso con un senso di impotenza che fa da collante a tutte.
Non è un libro normale, non lo può essere già dal titolo.
Nella lettura alcune parti sembrano essere ripetitive (soprattutto i racconti centrali), ma come sostiene Beniamino Placido "rispetto alla tradizione letteraria americana si sente che Bukowski realizza uno scarto [...] In questa scrittura fa irruzione con una cosa nuova. La cosa nuova è lui stesso, Charles Bukowski. [...] Lui, forse un genio, forse un barbone". E si sente tutta la visceralità dello scrivere, rigorosamente a macchina (il suono del ticchettio lo concentrava), rigorosamente in prima persona, nei racconti sputati fuori come fossero i conati di vomito di una notte troppo vissuta, di un barbone che sapeva scrivere.
Questa è la verità di Bukowski: un cencioso, vecchio, sporco e biofobico sbattuto in un ufficio del Post Office a scoprire che il mondo è impazzito, che l'Lsd non è poi tanto peggiore della televisione. Cosa poteva diventare, se non uno scrittore?
Forse, un barbone.


"Uno ch'è stronzo su 'sta terra, stronzo è anche sulla luna, nessuna differenza"
"Non è detto che debban cacare in testa sempre allo stesso uomo"

Nessun commento:

Posta un commento