Il più grande radiocronista di sempre, la sua voce roca e la poesia del calcio che il popolo adora. Un gruppo di guerriglieri disposto a tutto per fare la rivoluzione e il Nacional de Montevideo, la squadra più seguita in assoluto, che si prepara a giocare la finale della Copa Libertadores. E così la telecronaca si interrompe e inizia l’inno dei tupamaros
Dall’inizio dell’Ottocento, quando conquistò la sua indipendenza, e poi di seguito negli anni avvenire, l’Uruguay è sempre stato considerato un semplice puntino sulla sterminata mappa dell’effervescenza latinoamericana, piccolo e tradizionalmente democratico, dove il più delle volte non accadeva nulla. Un motivo di fama mondiale, però, questa nazione trascurata l’ha sempre avuto: il suo calcio e i suoi mitici calciatori.
La passione per il futbol nella República Oriental esplose nel 1930, anno del primo Campionato Mondiale di Calcio, che la Celeste vinse in casa. Oltre alla nazionale, anche i club del suo campionato comunque, dominavano nel continente, specie nella decade del ’60, con il Peñarol che fu capace di vincere tre Coppe Libertadores ed arrivare due volte secondo nei primi sei anni della competizione. Lo stesso Eduardo Galeano, nel suo “Splendori e miserie del gioco del calcio” ammetteva: «Come tutti gli uruguagi, anch’io avrei voluto essere un calciatore».
Tuttavia, le gesta leggendarie di queste squadre sarebbero rimaste solo gesta senza leggenda, se non fosse stato per il grande mezzo di comunicazione dell’epoca: la radio, che le portava all’orecchio degli appassionati, e per la voce che le narrava e che tutto il popolo adorava, quella di Carlos Solé. Lo storico radiocronista uruguaiano fu secondo alcuni il più grande di sempre, tanto da essere accostato a voci internazionali come Frank Sinatra e il compositore di tango Carlos Gardel. Solé debuttò in radiocronaca nel 1935 a diciotto anni, commentando la partita fra Club Atletico Bella Vista, di cui era segretamente tifoso, e River Plate di Montevideo.
Don Carlos diventò famoso grazie al suo tono rauco e grave, che schiariva di continuo con dei leggeri colpi di tosse, frutto dei sigari e di un certo gusto per il whisky, che qualsiasi cronista tentò invano di imitare. Con quella voce metallica e terribilmente sonora, Solé fu il più trascinante commentatore uruguaiano della storia della radio, riuscendo a creare un proprio stile di cronaca infarcito di metafore per raccontare i momenti più avvincenti, come in Ungheria-Uruguay del Mondiale ‘54, quando raccontò il pareggio in rimonta dei sudamericani (che poi persero per 3 a 2) dicendo, subito dopo il gol del due a due: «Il leone sconfitto agita la sua criniera!».
Quattro anni prima, Solé fu il telecronista della storica finale fra Brasile e Uruguay, a tutti nota come Maracanazo. Fu lui ad urlare alla nazione incredula: «Ghiggia se le escapa a Bigode. Avanza el veloz puntero derecho uruguayo. Va a tirar. Tira. Goool, goool, goooool, goooooool uruguayo», mentre tutt’attorno, fin dove arrivava la radio, scoppiavano i pianti, si stringevano gli abbracci e si saltava sulle pancacce dei bar.
La cabina di commento nelle canchas uruguaiane era un teatro dove Solé metteva in scena le sue performance. La passione nel commentare la partita esplodeva fra quelle mura anguste dove il silenzio altrui era sacro, anche quando il suo incedere continuo gli provocava uno sforzo fisico notevole, al punto di terminare le trasmissioni completamente sudato: quando la temperatura in cabina aumentava, Solé si calava i pantaloni alle caviglie, si toglieva la camicia e a torso nudo continuava in questa posa da sauna fino al novantesimo.
Intanto, a metà degli anni ’60, le proteste per la situazione divenuta insostenibile invasero le strade uruguaiane con la nascita del Movimento de Liberación Nacional, meglio noto come Tupamaros, un movimento di guerriglia di estrema sinistra che faceva dell’azione, forse più che delle idee, il suo momento determinante. Le strade della protesta sociale e di Carlos Solé si incrociarono il 15 maggio 1969 quando allo stadio Gran Parque Central si disputò la finale di andata della Coppa Libertadores fra Nacional de Montevideo e gli argentini dell’Estudiantes de La Plata. Il paese intero aspetta la partita, lo stadio è traboccante e chi è rimasto fuori si stringe alle radioline che trasmettono le parole di Solé.
Ma c’è un gruppo di tupamaros che ha pensato di trasformare l’evento in un momento di propaganda politica con un’azione eclatante e così verso la fine del primo tempo, fa irruzione nella stazione radiofonica da cui trasmette Radio Sarandì e trova, seppur a fatica, la linea di diffusione. In breve tempo fuoriescono le note del “Cielito de los Tupamaros”, canto contadino divenuto manifesto dei guerriglieri. Gli apparecchi sintonizzati smisero di trasmettere le parole di Carlos Solé, che dalla sua postazione andò su tutte le furie, e mandarono un messaggio d’appoggio al 1° maggio e un appello alla lotta armata. La gente incredula, anche sulle gradinate, alzò il volume delle radio per ascoltare le parole di quei guerriglieri per tutto il secondo tempo.
Pochi giorni dopo, lo stesso gruppo recapitò una lettera di scuse a Carlos Solé con la quale spiegarono i motivi del sabotaggio: Radio Sarandí innanzitutto trasmetteva in tutto il paese e l’occasione di un avvenimento seguito coma la finale di Coppa Libertadores era impossibile da farsi sfuggire. La cassa di risonanza data dalla radiocronaca di Solé, poi, era semplicemente enorme: i tupamaros gli riconobbero di essere la persona più ascoltata dal popolo.
Il figlio del radiocronista, imprigionato durate la dittatura di inizio anni ’70, fu segnalato come uno degli artefici dell’azione, anche se lui stesso ha sempre negato il coinvolgimento, sostenendo di essersi aggregato ai guerriglieri più tardi. Con questa azione i tupamaros dimostrarono il ruolo centrale che ancora rivestiva la radio, uno strumento di propaganda efficacissimo e diretto, e in particolar modo la funzione del calcio che, non solo in Uruguay ma in tutta l’America Latina, non ha mai smesso di essere un potente catalizzatore sociale.
Il Nacional perse sia quella partita che la finale di ritorno, vedendosi negata la gioia del primo trionfo in Libertadores, ma all’uscita dello stadio c’è chi giura di aver esultato, non per un gol, ma per la vittoria della guerriglia tupamara.
Daniele Carpi per Pangea News - America Latina Quotidiana
articolo pubblicato il 28/10/2014
Pangea News
Nessun commento:
Posta un commento