Il diario ricalca il viaggio che Ernesto Guevara, ancora non conosciuto a tutti come il "Che", e il suo amico Alberto Granado, entrambi studenti di medicina, intrapresero a cavallo fra il 1951 e il 1952 a bordo della Poderosa II, una motocicletta con un numero di problemi inversamente proporzionale ai soldi nelle tasche dei due argentini. Partiti da Cordoba risaliranno tutto l'ovest sudamericano, passando per Cile, Perù, Colombia e Venezuela. Nel mezzo le storie di come se la sono cavata durante il viaggio, le peripezie per trovare pasti caldi e scroccare imprevedibili passaggi ed arrivare in un qualche modo al paese successivo, a volte grazie proprio alla misteriosa apparizione di quei due (quasi) medici dove non esistono ospedali.
A differenza di altri libri di viaggio (vedi sopra) qui Guevara offre al lettore non solo le proprie esperienze ed impressioni personali, ma in vari momenti si ferma a descrivere stili di vita, tratti somatici e panorami politici con lo sguardo scientifico di uno studente di cose materiali più che di un viaggiatore errante. Le descrizioni del Cile visto da oltre confine, degli indigeni peruviani e degli Incas di Cuzco sono particolarmente belle. In generale si intuisce la grande influenza che questo viaggio ha avuto sul suo futuro modo di intendere l'America Latina ed il mondo tutto, riconoscendo che «costituiamo una sola razza meticcia che dal Messico fino allo stretto di Magellano presenta notevoli similitudini etniche».
Però, nonostante non mi abbia lasciato così insoddisfatto, sono sempre più convinto della mia idea che i diari di bordo sono fatti per rimanere tali.
«Per quella gente semplice, davanti alla quale Alberto sfoderò il suo titolo di "dottore", eravamo come semidei: venivamo niente meno che dall'Argentina, il meraviglioso paese dove viveva Perón e sua moglie, Evita, dove, secondo loro, tutti i poveri posseggono le stesse cose dei ricchi e non si sfruttano gli indios, né li si tratta con durezza come avviene in queste terre.»
«Un soldato venezuelano, con la stessa arrogante insolenza dei suoi colleghi colombiani - caratteristica, a quanto pare, comune all'intera congrega militare - ci perquisì i bagagli e ritenne opportuno sottometterci a un ulteriore interrogatorio, come per dimostrarci che stavamo parlando con una "autorità".»
«[...] sapevo che nel momento in cui il grande spirito che governa ogni cosa darà un taglio netto dividendo l'umanità intera in due sole parti antagoniste, io starò con il popolo, [...] tingerò di sangue la mia arma e, come impazzito, sgozzerò ogni nemico mi si parerà davanti.»
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