Don Franco Reverberi Boschi, cappellano di Sorbolo in provincia di Parma, è ricercato dall’Interpol per aver partecipato alle torture contro gli oppositori politici, che il regime golpista di Jorge Rafael Videla perpetrava negli anni Settanta in Argentina
Nuove carte si sommano al voluminoso mazzo delle inchieste argentine sui crimini di Stato commessi durante l’ultima dittatura militare. Mentre il paese conquista e mantiene il primato di essere stato l’unico della storia a poter, dopo molti tentativi falliti, mettere a processo gli ufficiali che usurparono il potere di governo e che rivolsero le loro armi contro la società, ora arriva dall’Interpol la notizia di un prete italiano fra i ricercati internazionali per i crimini contro i desaparecidos: si tratta di Don Franco Reverberi Boschi, 75enne sacerdote emigrato con la famiglia in Argentina dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e diventato successivamente cappellano militare proprio quando la giunta di Videla compiva i suoi orrori. L’accusa non è da poco: crimini contro l’umanità.
Già diversi testimoni lo hanno segnalato tra i presenti, quando gli aguzzini del potere militare torturavano i prigionieri politici nei pozos (così venivano chiamate in gergo le stanze degli interrogatori), nelle quali le persone passavano dalla condizione di cittadino a quella di desaparecido: gettato il corpo, bruciati i documenti e zittita la voce, per nascondere un crimine politico impresentabile al mondo civile a cui l’Argentina pretendeva di appartenere. Secondo le ricostruzioni degli investigatori, Don Franco non avrebbe preso parte attiva ai crimini, ma il fatto di assistere agli interrogatori, alle torture disumane e poi di mantenere il segreto pur vestendo l’abito di sacerdote, aggravano un crimine già di per sé abberrante e perseguibile per legge. Il caso, comunque, è ancora lungi dall’essere chiuso, visto che non vi è mai stata una sentenza sulla questione e addirittura pare che lo stesso parroco fosse all’oscuro dell’inchiesta.
Di certo, l’Argentina resta per il momento un territorio vietato per questo prelato, visto che il governo della presidente Cristina Fernandez de Kirchner (nel segno della continuità col marito predecessore, Nestor) è da anni alle prese con una battaglia a tutto campo nei confronti dei rimasugli dell’ultima dittatura militare, quella che ha insanguinato le strade del paese fra il 1976 e il 1983. Anche il più fervente anti-kirchnerista, alla luce dei fatti, dovrà riconoscere che uno dei meriti maggiori dell’ex presidente fu quello di aver riaperto gli scaffali impolverati della giustizia che tanto, anche oggi, necessita di ulteriori passi avanti (vedi la recente assoluzione degli imputati per un caso decennale di prostituzione che ha scatenato polemiche e gravi incidenti in tutto il paese, fatti che hanno portato alla Legge Anti-tratta, una norma contro lo sfruttamento della prostituzione, approvata all’unanimità dal Congresso), e aver riportato alla luce le vecchie ferite, che ancora non si riemarginano in storici movimenti antagonisti al regime di Videla, come quello delle madri di Plaza de Mayo, nelle sue varie scissioni, o nelle Abuelas, che cercano i nipoti dei desaparecidos, molto spesso dati illegalmente in adozione a famiglie vicine al potere militare.
Qualcuno lo potrebbe anche chiamare populismo, ma fu una mossa fondamentale per la memoria storica argentina. Ancor più fondamentale se guardiamo alla nostra Europa, nella quale restano in auge ed impuniti i simboli delle dittature novecentesche, basti pensare all’amnistia generale per i membri del regime franchista in Spagna. Così, dopo che con un colpo di spugna e dietro insistenti pressioni militari, i successivi governi argentini hanno sostanzialmente elargito indulti ed amnistie ai colpevoli e ai complici di quei crimini, vi fu una netta inversione di tendenza e quelle stesse amnistie si trasformarono in processi, poi sfociati in sentenze di colpevolezza e pene anche esemplari.
Jorge Rafael Videla su tutti, a capo della giunta militare dal 1976 al 1981, fu prima condannato, poi amnistiato dal governo Menem; deve ora scontare le sue pene (due ergastoli ed ulteriori 50 anni) grazie all’eliminazione di quell’impunità voluta proprio da Kirchner. In tutto, ad oggi, sono 650 i militari che stanno scontando condanne per crimini legati alla dittatura militare ed oltre 3000 sono i processi in corso. In questo ambito, anche in Italia ci furono operazioni giudiziarie nei confronti di militari argentini colpevoli di torture, morti e sparizioni di cittadini italiani. La più importante, la cosiddetta Sentenza Esma del 2007 – poi confermata in Cassazione – ha condannato cinque altissimi ufficiali.
Ora, con la notizia dei sospetti su Don Franco, il nostro paese ha l’opportunità di dare nuovamente il suo contributo e, in attesa che qualcuno decida di assecondare il mandato di cattura dell’Interpol e lo vada a prelevare dalla canonica del paesino di Sorbolo, in provincia di Parma, dove dice messa aiutando il parroco locale, resta, pubblicamente, il racconto del suo passato, che rievoca tutti i fantasmi di una pagina di Storia mai dimenticata. La Storia di tutti i popoli vittime impassibili di una follia bieca, che ha sempre trovato complici a tutti i livelli e che fa marciare, ancora oggi, migliaia di madri in tutto il mondo.
Daniele Carpi per Pangea News - America Latina Quotidiana
articolo pubblicato il 31/12/2012
Pangea News // Corriere della Sera // Interpol // Plaza de Mayo
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