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04 agosto 2011

Brevi interviste con David Foster Wallace

Quelli che seguono sono frammenti che fanno parte della pubblicazione intitolata Brevi interviste con David Foster Wallace ed inseriti come contenuto extra dell'edizione 2008 de La ragazza dai capelli strani, selezionati e tradotti da Martina Testa per Minimum Fax (Roma).
Queste riflessioni sono il sunto di due interviste precedentemente rilasciate nelle quali Wallace riflette su una serie di macroargomenti cari tanto al mestiere di scrittore, quanto a quello di lettore.


Un buon momento per fare lo scrittore
Personalmente, credo che questo sia veramente un buon momento per un giovane che voglia cominciare a scrivere narrativa. Ho degli amici che non sono d’accordo. Al giorno d’oggi la narrativa di qualità e la poesia sono emarginate. È un errore in cui cadono parecchi dei miei amici, questa vecchia idea secondo cui «Il pubblico è stupido. Il pubblico vuole andare in profondità solo fino a un certo punto. Poveri noi, siamo emarginati perché la tv, la grande ipnotizzatrice… bla bla bla». Ci si può mettere seduti in un cantuccio e piangersi addosso quanto si vuole. Ma è una stronzata. Se una forma d’arte viene emarginata è perché non parla davvero alla gente. E un possibile motivo è che la gente a cui si rivolge sia diventata troppo stupida per apprezzarla. Ma a me sembra una spiegazione troppo semplice.
Se uno scrittore si rassegna all’idea che il pubblico sia troppo stupido, ad aspettarlo ci sono due trappole. Una è la trappola dell’avanguardismo: si fa l’idea che sta scrivendo per altri scrittori, perciò non si preoccupa di rendersi accessibile o affrontare questioni di ampia rilevanza. Si preoccupa di far sì che ciò che scrive sia strutturalmente e tecnicamente all’avanguardia: involuto nei punti giusti, ricco di appropriati riferimenti intertestuali… L’opera deve sprizzare intelligenza. Ma all’autore non importa nulla se sta comunicando o meno con un lettore a cui freghi qualcosa di quella stretta allo stomaco che è poi il motivo principale per cui leggiamo. Sul fronte opposto ci sono opere volgari, ciniche, commerciali realizzate secondo formule prestabilite — essenzialmente, il corrispondente letterario della tv — che manipolano il lettore, che presentano materiale grottescamente semplificato con uno stile avvincente perché infantile.
La cosa strana è che questi due fronti sono in lotta fra loro ma hanno un’origine comune, che è il disprezzo per il lettore: l’idea che l’attuale emarginazione della letteratura sia colpa del lettore. Il progetto che vale la pena di portare avanti è invece quello di scrivere qualcosa che abbia in parte la ricchezza, la complessità, la difficoltà emotiva e intellettuale dell’avanguardia, qualcosa che spinga il lettore ad affrontare la realtà invece che a ignorarla, ma che nel fare questo provochi anche piacere nella lettura. Il lettore deve sentire che qualcuno sta parlando con lui, non assumendo una serie di pose.
In parte, tutto questo ha a che fare col fatto che viviamo in un’epoca in cui abbiamo a disposizione una quantità enorme di puro intrattenimento, e bisogna capire come può la letteratura ricavarsi un suo spazio in un’epoca di questo tipo. Si può provare ad affrontare il problema di cosa sia a rendere magica la letteratura in maniera diversa dalle altre forme di arte e spettacolo. E a capire in che modo la narrativa possa ancora affascinare un lettore la cui sensibilità è stata in massima parte formata dalla cultura pop, senza diventare un’ulteriore palata di merda fra gli ingranaggi della cultura pop. È qualcosa di incredibilmente difficile, sconcertante e spaventoso, ma è un bel compito. C’è una quantità enorme di intrattenimento di massa ben realizzato e ben confezionato: credo che nessun’altra generazione prima di noi si sia trovata a fronteggiare una cosa del genere. Essere uno scrittore oggi significa questo. Credo che sia il momento migliore per essere al mondo e forse il miglior momento possibile per fare lo scrittore. Certo, dubito che sia il più facile.


La magia della letteratura
Il mondo reale è pieno di solitudine esistenziale. Io non so cosa stai pensando o che cos’è che hai dentro, e tu non sai che cos’ho dentro io. Nella letteratura penso che in un certo senso riusciamo a saltare oltre questo muro. Ma questo è solo un primo livello, perché l’idea dell’intimità mentale o emotiva con un personaggio è un’illusione, un meccanismo creato dallo scrittore attraverso la sua arte. C’è anche un altro livello su cui un testo letterario diventa una conversazione. Fra il lettore e lo scrittore si instaura un rapporto che è molto strano, complicato e difficile da descrivere. Un ottimo brano di letteratura non è detto che mi catturi completamente e mi faccia dimenticare che sono seduto in poltrona. C’è della narrativa commerciale che è perfettamente in grado di riuscirci; una trama avvincente è perfettamente in grado di riuscirci: ma non mi fa sentire meno solo.
Invece c’è una specie di: «A-ha! Qualcuno almeno per un attimo la pensa come me, o vede una cosa nel modo in cui la vedo io». Non capita sempre. Sono brevi flash, fiammate, ma ogni tanto mi capitano. E non mi sento più solo, a livello intellettuale, emotivo, spirituale. La letteratura e la poesia riescono a farmi sentire umano, a eliminare quel senso di solitudine, a mettermi profondamente e significativamente in comunicazione con un’altra coscienza, in una maniera del tutto diversa da quanto riescano a fare altre forme d’arte.



Gli stralci sono tratti da:
Larry McCaffery, An interview with David Foster Wallace, Review of Contemporary Fiction, vol. XIII, n°2, estate 1993
Laura Miller, The SALON interview - David Foster Wallace, 8 marzo 1996
Articolo completo pubblicato su Minima et Moralia - il blog di Minimum Fax, col titolo Perle Wallaciane, 14 settembre 2009


Minima et Moralia // Review of Contemporary Fiction // The SALON interview

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