In ogni caso quello che qui vuole spiegarci Marc Augé - antropologo, sociologo, etnologo francese - è quanto di più semplice e insieme complesso che possa esistere: l'ambiente in cui viviamo. La tesi proposta, la quale oggi è ormai probabilmente consolidata, è quella di un superamento della modernità e di trovarci invece in una fase di surmodernità per quanto riguarda i fenomeni sociali il cui tratto distintivo sono, appunto, i nonluoghi.
Per nonluogo Augé intende tutte quelle installazioni tipiche della seconda metà del XX°secolo, diventate oggi comuni: autostrade, aeroporti, centri commerciali fino ai campi profughi che puntano a distruggere l'umanità delle persone trasformandole in bit di memoria e in numeri identificativi delle loro carte di credito con le quali partecipano a questa dilagante surmodernità. Augé quindi pone tutti gli individui appartenenti in una sorta di anonimato, che viene a comprendere anche quelli che erano gli originari centri della socialità della comunità: «le nostre società si trasformano in musei proprio mentre tangenziali, autostrade, treni ad alta velocità e strade a scorrimento veloce le aggirano».
La surmodernità è quindi creatrice di questi luoghi anonimi, nei quali la parola e il linguaggio svolgono il ruolo fondamentale di definizione degli stessi . La forza di attrazione di questi nonluoghi è alta e sempre crescente, nonostante sia di fatto «inversamente proporzionale all'attrazione territoriale».
E se è vero, come dice Lévi-Strauss, che è il sano di mente ad essere in fondo alienato in quanto accetta di esistere in un mondo definito dalla relazione con gli altri, Augé rintraccia l'unica via d'uscita nell'utopia - e, aggiungo io, nella creatività - la quale sembra essere stata compresa solo dagli architetti, ma a loro insaputa.
«Nelle stesse abitazioni,ville o appartamenti, la televisione e il computer occupano ora lo spazio dell'antico focolare.»
«Se un luogo può definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che non può definirsi identitario, relazionale e storico definirà un nonluogo. L'ipotesi che qui sosteniamo è che la surmodernità è produttrice di nonluoghi antropologici e che [...] non integra in sé i luoghi antichi: questi, repertoriati, classificati e promossi a "luoghi della memoria", vi occupano un posto circoscritto e specifico.»
«Tutte le interpellanze provenienti dalle nostre vie di comunicazione, dai nostri centri commerciali o dalle avanguardie del sistema bancario poste all'angolo delle nostre strade, mirano simultaneamente, indifferentemente, a ciascuno di noi; non importa chi di noi: esse fabbricano "l'uomo medio", definito come utente del sistema stradale, commerciale o bancario.»
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