América Latina, Fútbol, Rock'n'Roll

21 luglio 2010

Pier Vittorio Tondelli - L'abbandono

Qui si inizia dalla fine. L'abbandono - insieme al progetto parallelo Un weekend postmoderno - è la prosecuzione naturale di tutti gli scritti tondelliani. All'interno si possono trovare frammenti di narrativa assolutamente degni di ogni altra sua pubblicazione, scritti con quella ingenua maestria che caratterizza tutta la produzione.
Sottoforma di diario aperto con una sola parziale soluzione di continuità rappresentata dall'aver indicizzato prima della sua morte tutte queste pagine, Tondelli ci fa arrivare - postume - quelle che sembrano quasi delle essenziali integrazioni ai romanzi e racconti che aveva precedentemente pubblicato: rigorosamente in prima persona ci parlerà a cuore aperto di tutto il suo universo, dei suoi incontri (Rimini), delle notti del soldato Acci sotto le armi (Pao Pao), dei suoi viaggi (Altri libertini), della musica, dell'amore (Camere separate) non lesinando certo divagazioni su romantiche verità assolute che per me restano una parte fondante della sua scrittura (Biglietti agli amici).
Con questi frammenti di letteratura emotiva Tondelli riscopre nuovamente la sincerità della vita, con i suoi alti e bassi tipici del mestiere di scrittore, e con la finale consapevolezza delle sue radici, o meglio di un passato che ritorna prepotentemente alla luce proprio nel momento della sua fine.
Ma questo libro non è da leggere come se si leggesse un romanzo, ma piuttosto è importante per capire il carattere dello scrittore. E' quindi un libro necessario per i suoi lettori, forse non tanto per lui. Importante come tutte le altre letture dello scrittore correggese; essenziale per chi non lo volesse solamente conoscere, ma anzi sentisse il bisogno di amarlo.



«Una sigaretta e ricapitoliamo: literature of power, "letteratura di potenza", letteratura che commuove, letteratura legata al linguaggio, unica letteratura che dura, la scrittura emotiva, la scrittura parlata, il sound del linguaggio parlato, l'emozione del linguaggio parlato... "L'unica strada," dice il Lombardo, "che va dentro al racconto." Infatti, il testo diventa una questione di ritmo, si capisce subito: finchè c'è swing dura, non finisce. Per questo il racconto è il miglior tempo della narrazione emotiva, la quale finisce quando è ora di finire: non una battuta in più, non una riga. Dura dieci, trenta, ottanta pagine e poi il lettore si fiacca; invece il lettore deve essere tenuto sempre sotto shock, deve bere il racconto tutto intero e d'un fiato [...] Il romanzo è morto; il romanzo monolitico rompe il cazzo; il romanzo monologico è farsi pippe per ore intere e non venire mai, accidenti!»

«La guerra, la vera guerra, dice Klaus, è questa: non l'odio che getta le persone l'una contro l'altra, ma soltanto la distanza che separa le persone che si amano.»

«Una notte, in un piccolo albergo, lei scrive sulla sua portatile elettronica: "Sono una donna senza argomenti. Non mi importa del mondo, mi infastidisce quello che accade, ma mi dà meno fastidio se sono accanto a te. E sono ancora in grado di avvelenarmi."»

«Nella saletta attigua al guardaroba, Keith Haring passò un'intera serata a scarabocchiare graffiti con un pennarello nero. Esili figurini dai grandi falli. Come una pittura egiziana, però molto porno. [...] L'autunno seguente le pareti della saletta furono imbiancate, e un anonimo artista vi dipinse, con vernici lucide, della robaccia. [...] Oggi leggo sul giornale che Keith Haring è morto. Aveva ventun anni. I suoi graffiti valgono migliaia di dollari. Se qualcuno vuol fare dell'archeologia da discoteca, sa dove andare a grattare i muri.»

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