América Latina, Fútbol, Rock'n'Roll

23 dicembre 2009

Pier Paolo Pasolini - Ragazzi di vita

E' la seconda volta che apro questo libro. La prima è andata male: un capitolo, forse uno e mezzo e lo richiusi. Troppo difficile ho pensato il dialetto romano, nessun effetto speciale, le storie di ragazzi che si intrecciavano così, senza soluzione di continuità.
Lo riapro qualche anno più tardi - 6, forse 7 - e trovo al contrario stupefacente tutto quello che prima consideravo una noia mortale. Il realismo più sfrenato degli ultimi, di coloro che non rientrano manco nella scala sociale. Le storie di questi Ragazzi e le loro cornici ambientali che Pasolini con la sua fantastica descrizione "schizzata" ti fa immaginare in un bianco e nero sporco e sudato ti riportano a quella vita di stenti ma soprattutto a quell'estrema umanità che solo i disprezzati sono capaci di offrire.
Perchè non colsi subito il significato di questo libro allora? Questione di età, questione di interessi e di intellettualità matura probabilmente, ho pensato in un primo momento. Riflettendoci meglio penso più che altro che sia una risposta alla pochezza e alla debolezza del quotidianità del mondo iper-tecnologico. Il ritorno alle zozzerie, ai sobborghi (romani, in questo caso), alle taverne di legno, ai pantaloni impolverati delle periferie sono la risposta a questo mondo di televisioni scialbe e rapporti virtuali.
Questa credo sia la chiave corretta per leggere Ragazzi di vita alle soglie del 2010. Pasolini lo scrisse cinquantacinque anni fa, terribilmente vero allora, terribilmente crudo oggi. Straziantemente romantico.


«La famiglia del Riccetto non abitava dentro le aule, come gli sfollati o quelli che s'erano accomodati per primi: ma in un corridoio, di quelli dove si aprono le aule, ch'era stato diviso con dei tramezzi in tanti piccoli locali, lasciando per il passaggio soltanto una piccola striscia lungo le finestre che davano sul cortile: per dove adesso correva Marcello.»

«Si era fatto nero, e le labbra tonde e raggrinzite gli tremavano. «M'hanno carcerato pe' violenza carnale», fece. «Ammazzete, a chi l'hai fatta 'a festa?» disse il Caciotta. «A na pecora», disse disperato Amerigo. «Mo er pastore m'ha visto che me la inculavo, li mortacci sua, e m'ha dinunciato.»

«A Pietralta, per educazione, non c'era nessuno che provasse pietà per i vivi, figurarsi cosa cazzo provavano per i morti.»

«[...] «mo perchè nun je fai na telefonata a 'a squadra mobile che te venghino a pijà: ce sta un fijo de na mignotta attaccato ar tranve, ar numero nove!» «Che me frega a mme si me porteno a bottega, che casa mia è mejo?» fece il Begalone riattaccandosi con un salto al respingente.

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