América Latina, Fútbol, Rock'n'Roll

09 ottobre 2008

Pier Vittorio Tondelli - Pao Pao

Il libro è il racconto dell'esperienza militare di Tondelli nel lontano 1981-82.
L'intreccio è interessante, le storie dei personaggi e degli avvenimenti di quel periodo, quasi come un diario, si ripercorrono incessanti e senza soluzione di continuità nel testo.
il contesto militare, però, fa solamente (e ovviamente, per chi conosce Tondelli) da cornice alle vicende raccontate, esso è solo una situazione costrittiva che si era venuta a creare e nella quale cercare di costruire un nuovo mondo. Così ben presto il servizio di leva tondelliano si trasforma in un diversivo alle scorribande notturne del gruppo di amici, di bevute e spinelli in compagnia rintanati ad Orvieto, o nei sobborghi di Roma verso la fine del servizio, o ancora nascosti negli anfratti semi-deserti delle caserme a lume di candela.
Naturalmente Tondelli, da inguaribile romantico qual'è, non poteva non dedicare buona parte del racconto alle sue vicende sentimentali, e infatti proprio l'amore è il perno centrale di tutte le storie che si intrecciano: un amore ora duro ora tenero, un amore non corrisposto o corrisposto troppo, la vergogna dell'omosessualità e l'esaltazione della stessa. Un amore dunque che non lascia spazio ad attendismi, esso è sempre sanguigno: lo sarà con il suo Grandelele, che gli strapperà il cuore in quell'addio romano; lo sarà con lo stronzo Erik, che lo baciava come nessuno aveva mai fatto prima di allora; lo sarà con tutta la brigata di Radionaja per la quale spendeva il tempo fra un telefono e l'altro a raccontare e farsi raccontare cosa accadeva nel loro mondo, ovvero nelle loro vite. Una visione splendida del suo universo omosessuale nel quale si intrecciano senso di appartenenza, goliardia, godimento, sensibilità e sensazioni e scazzi. Perchè l'amore non crea differenze, anzi le elimina.
Il racconto, a mio avviso, rimane incompiuto fino a quando Tondelli non comincia a raccontare la sua storia con Erik (alla fine del libro), poi tutto magicamente acquista un senso, proprio grazie alla caratteristica madre di Tondelli, ovvero quella di rituffarsi in una nuova tragedia amorosa, in una nuova vicenda sentimentale che lo farà star male ma dalla quale si rialzerà, continuerà a correre e alla quale sarà anche grato, poiché per Tondelli non esiste niente al mondo di più vivo, di più vero.
L'ultimo paragrafo del libro è una sorta di dedica ai suoi "compagni d'avventura", una sorta di omaggio a quella Radionaja più volte richiamata; toccante e intensa come poche altre volte mi è capitato di leggere.




«Quando ho poi amato il mio Lele, quanto l'ho desiderato. Volevo mangiarmelo il mio Lele, aderirgli addosso come una spugna bagnata, volevo succhiarmelo e bermelo d'un fiato il mio Lele. Lo volevo con me, volevo schiantarmi sotto le sue reni, volevo annegarmi sulle sue grandi braccia, volevo appiattirmi sulla sua pelle tesa e vibrante come una seta. Volevo cacciarmelo in fondo al cuore il mio Lele, volevo cullarmelo in testa come una canzoncina e fischiarmelo dentro come un accordo. Volevo sbronzarmi del suo odore, volevo aggrapparmi ai suoi lombi e alle sue gambe alte, volevo stringere le sue spalle, volevo succhiare il suo petto e ingoiarmelo, volevo urlare con Lele, volevo sentirmelo venire in grembo, volevo entrare nella sua schiena spianata, volevo baciarmelo, trastullarmelo, confonderlo nei miei movimenti di amore, nei fremiti, nei gemiti. Volevo poi trovarmelo accanto il mio Lele, volevo scrutarlo, lo volevo disteso e finalmente placato, lo volevo felice. Io amavo il mio Lele. Ero completamente bevuto dal mio amore.»

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