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30 dicembre 2014

David Foster Wallace - Questa è l'acqua

Questa è l’acqua è la prima pubblicazione postuma di David Foster Wallace dopo la sua tragica scomparsa nel 2008. Sulla scorta delle sue raccolte di racconti come Considera l’aragosta, Oblio ma soprattutto Brevi interviste con uomini schifosi, con la quale questa condivide un certo spirito per le sensazioni dei personaggi, una sopraffazione come se esistesse un qualche disegno messo a punto per ognuno di essi, con l’intento beffardo di renderli drammaticamente veri. Sono sei racconti eterogenei.
Si comincia col grottesco Solomon Silverfish, avvocato alle prese con un rapporto travagliato e confuso con la moglie malata terminale, nel quale la compassione e l’empatia per una situazione dolorosa diventa una convivenza conflittuale e a tratti persino comica non solo con la moglie ma con Solomon stesso.
Il paradossale Altra matematica racconta di un nipote innamorato del nonno e di un tizio innamorato di un cadavere in quella che ha tutta l’aria di essere una lunga equazione algebrica senza possibili soluzioni.
C’è Crollo del ’69, una digressione spassosa su Karrier, personaggio che riesce sempre a predire il contrario di ciò che si avvera; c’è Ordine e fluttuazione a Northampton nel quale Wallace narra in un’anarchica sequenza di vicende ed emozioni il triangolo disturbato e quasi bucolico fra il protagonista Barry Dingle, Myrnaloy Trask e Don Megala, attraverso il quale indaga in maniera quasi filosofica gli ingranaggi emozionali di un giovane fra, appunto, il suo ordine mentale e la sua fluttuazione romantica. Questa ambivalenza fra ragione e sentimento (in questo Dingle somiglia tantissimo a Wallace) viene riassunta in poche semplici righe: «un romanticismo classico, quasi classicamente statico, quale fondamento, elemento primario, requisito indispensabile dell’esperienza stessa di essere B. Dingle».
Il brano per il quale è conosciuta questa raccolta, e il fatto che ne dia il titolo è solo una delle tante conferme, è appunto Questa è l’acqua, la trascrizione del discorso per il conferimento delle lauree pronunciato dallo scrittore agli studenti del Kenyon College nel maggio del 2005. Come da lui stesso affermato, questa “roba” non è «divertente, leggera o altamente ispirata come forse dovrebbe essere […, ma] è la verità sfrondata da un mucchio di cazzate retoriche». Il siparietto dei pesci, oggi ricordato ed utilizzato da più parti, è solamente un pretesto contestuale per introdurre ed approfondire un discorso ben più ampio. Wallace raccomanda, quasi da fratello maggiore come se il discorso fosse rivolto anche a sé stesso, che la vita è difficile e specialmente scegliere di viverla in modo consapevole. La realtà è estremamente complessa ed articolata e operare tutte quelle piccole scelte quotidiane è un lavoro culturale enorme che richiede grande sacrificio fisico e mentale: «Imparare a pensare di fatto significa imparare a esercitare un controllo su come e cosa pensare. Significa avere quel minimo di consapevolezza che permette di scegliere a cosa prestare attenzione e di scegliere come attribuire un significato all’esperienza». La cultura come il lavoro di una vita, dove i titoli di studio nulla possono, ma può la persona.
Aldilà di questo assai significativo brano, l’apice della raccolta dal mio punto di vista si raggiunge con Il pianeta Trillafon in relazione alla Cosa Brutta (curiosamente il primo testo mai pubblicato da Wallace) e questo mi provoca un certo sconforto se si pensa che il tema centrale del racconto è la depressione, narrata per di più in prima persona – e chi conosce la storia e l’epilogo del David uomo non può che rimanerne turbato, ma d’altronde questo tema sarà ricorrente in tutta la produzione futura. Qui si guarda alla malattia come ad un pianeta a galassie di distanza, come ad un compagno di viaggio triste e crudo, che non ti permette divagazioni sul tema nemmeno quando, davanti ad una ragazza carina che sfodera «un grosso sorriso di una bellezza mortale» e che ti chiede il perché di quella cicatrice, tu non puoi fare altro che ammettere: «avevo una fastidiosa etichetta sulla guancia».


«Mi dispiaceva in modo incredibile per lui, e naturalmente la Cosa Brutta è stata così gentile da filtrare quella tristezza e da peggiorarla un casino. Era strano e irrazionale ma tutt’a un tratto ho sentito fortissimamente che l’autista ero davvero io. Mi sentivo davvero così. Perciò mi sentivo come doveva sentirsi lui, ed era orribile. Non solo mi dispiaceva per lui, mi dispiaceva come lui, o cose simili. Tutto grazie alla Cosa Brutta.»

«Pensala in questi termini, Dingle, dice l’amore di Dingle mentre Dingle fa l’inventario delle tisane un pomeriggio di maggio del 1983. Pensa al tuo amore come a una creatura per natura incompleta, che persegue qualcosa. Io sono nato dentro di te come mezzo amore. Il mio fine è l’unità che mi è negata per definizione.»

«La Verità con la V maiuscola riguarda la vita prima della morte. Riguarda il fatto di toccare i trenta, magari i cinquanta, senza il desiderio di spararsi un colpo in testa. Riguarda il valore vero della vera cultura, dove voti e titoli di studio non c’entrano, c’entra solo la consapevolezza pura e semplice: la consapevolezza di ciò che è così reale e essenziale, così nascosto in bella vista sotto gli occhi di tutti da costringerci a ricordare di continuo a noi stessi: “Questa è l’acqua, questa è l’acqua; dietro questi eschimesi c’è molto più di quello che sembra”. Farlo, vivere in modo consapevole, adulto, giorno dopo giorno, è di una difficoltà inimmaginabile. E questo dimostra la verità di un altro cliché: la vostra cultura è realmente il lavoro di una vita, e comincia… adesso. Augurarvi buona fortuna sarebbe troppo poco.»

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