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30 maggio 2014

#CaveVuelveASerCave. I 3 sogni e i 135 giorni di un idolo

Nel giorno del suo grande ritorno nessuno poteva aspettarsi che l'epilogo potesse essere quello sognato, ma anche per questo il più difficile da costruire. Riavvolgiamo un attimo il nastro. Era il 3 gennaio quando il neo-presidente riverplatense Rodolfo D'Onofrio presentava il "nuovo acquisto" alla stampa: Fernando Cavenaghi era pronto ad aprire il suo terzo ciclo con la Banda e l'entusiasmo era tanto.



Ma, c'è un ma. River e Cave si sono ritrovati in un momento non felice per entrambi. La squadra, a caccia di un attaccante di peso viste le gravi lacune in zona gol palesate nel semestre precedente, era reduce da un Inicial a dir poco altalenante sia sul piano del gioco che dei risultati. Sul banco degli imputati era finito addirittura il tecnico Ramon Diaz, tanto che una parte dei tifosi ne chiedeva la testa. Cavenaghi dal canto suo veniva da due esperienze problematiche con le maglie di Villareal e Pachuca, con le quali ha segnato poco ed ha conosciuto anche la panchina. Il suo rendimento, la carta d'identità e specialmente le condizioni fisiche non proprio eccellenti aprivano a molti dubbi, aldilà della bandiera che lui rappresentava. Oltre a questo, i dubbi di natura tattica crescevano, vista la convivenza con un certo Teofilo Gutierrez, giocatore le cui enormi qualità vanno di pari passo con le sue intemperanze, che gli valsero fra l'altro il soprannome di BaloTeo (lo "scherzo" con la pistola giocattolo nello spogliatoio del Racing è celebre). Un Gutierrez che, forse anche per merito del compagno di reparto, ha ritrovato l'umiltà necessaria in un campionato duro come quello argentino. Quel giorno Cavenaghi, presentandosi alla stampa, confidò i motivi del suo ritorno. Sembravano sogni più che speranze, viste le premesse.

«Quiero ganar en la cancha de Boca». Vincere alla Bombonera come non accadeva da dieci anni esatti quando un giovane Cavenaghi era la punta di diamante di quel River Plate e segnò di testa lo 0-1 decisivo. Una vittoria nel campo degli acerrimi rivali non si scorda mai. Vittoria arrivata il 30 Marzo scorso grazie ai gol di Lanzini e Funes Mori, altri due pibes della sterminata cantera millonaria.



«Quería volver a River en otra etapa para ser campeón». Tornare per vincere quel titolo che mancava da sei lunghissimi anni, dal Clausura 2008 con in panchina il Cholo Simeone. Anche questo obiettivo raggiunto lo scorso 18 Maggio grazie alla goleada (5-0) sul Quilmes, nella quale il Torito è assoluto protagonista con una doppietta. Una partita questa che rispecchia fedelmente la storia del River Plate: vincere, segnare e giocare alla Máquina (come veniva chiamata la storica formazione millonaria degli anni '40) per far esplodere di gioia il Monumental vestito a festa, che solo due anni prima aveva ospitato momenti di guerriglia urbana in seguito alla caduta in B della squadra. Uno stadio intero in lacrime a fine partita, con lui tutti i giocatori e Ramon Diaz, commosso come non lo si era mai visto prima.

«Quiero pasar lo cien goles». Raggiungere i cento gol con la Banda ed entrare fra i migliori marcatori di sempre, in compagnia di gente come Labruna, Ferreyra e Francescoli, non nomi qualsiasi. All'inizio della stagione erano 91 i centri, poi è arrivato il primo gol alla terza giornata contro il Godoy Cruz, poi sono arrivate anche le critiche per il lungo digiuno e di filata gli altri sette centri, compresi quelli decisivi per la vittoria all'ultima giornata.

Ora sono 99 i gol. Il centesimo nella finale per decretare il Supercampeon contro il San Lorenzo vincitore dell'ultimo Inicial non è arrivato, ma c'è ancora tutta una stagione davanti, che vedrà il River tornare sia in Copa Sudamericana che in Libertadores, con Cavenaghi alla guida. Il tempo e i numeri sono dalla sua parte. Manca solo un piccolo sforzo per completare il sogno e passare in un attimo da mito a leggenda.


Cavenaghi al River Plate, il ritorno a casa del Torito

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