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21 dicembre 2012

Educazione selvaggia

Impariamo dai selvaggi ad educare i nostri figli

In uno dei miei soggiorni in Nuova Guinea ho incontrato un giovanotto di nome Enu la cui storia sul momento mi ha molto colpito: Enu era cresciuto in una regione dove l'allevamento dei bambini è estremamente repressivo e i piccoli sono soggetti a pesanti incarichi e gravati da sensi di colpa. Compiuti i cinque anni, Enu ne aveva abbastanza di quello stile di vita: ha lasciato i suoi genitori, la maggior parte dei suoi familiari e si è trasferito presso un'altra tribù, in un altro villaggio, dove alcuni parenti erano disposti a prendersi cura di lui. Lì Enu si è ritrovato in una società adottiva nella quale si allevano i bambini in maniera estremamente permissiva, all'opposto di quanto accadeva nella sua società natale. I bambini piccoli erano considerati responsabili delle loro azioni e potevano perciò fare qualsiasi cosa gli venisse in mente. Per esempio, se un bambino piccolo giocava accanto al fuoco, nessuno interveniva. Di conseguenza, molti adulti in quella società presentavano segni di ustioni sul corpo, a testimoniare il comportamento nell'infanzia.
Entrambi questi stili educativi sarebbero respinti con avversione nelle società industriali occidentali di oggi. Eppure la permissività della società adottiva di Enu non è eccezionale rispetto ai parametri delle società di cacciatori-raccoglitori, molte delle quali considerano i bambini piccoli individui autonomi, i cui desideri non dovrebbero essere mai repressi, e ai quali si consente quindi di giocare con oggetti pericolosi come coltelli appuntiti, pentole bollenti e fuoco. Mi sono ritrovato a riflettere molto sui popoli della Nuova Guinea con i quali ho lavorato negli ultimi 49 anni, come pure sui commenti degli occidentali che hanno vissuto per anni nelle società di clan di cacciatori-raccoglitori, osservando in che modo crescano i loro bambini. Insieme agli altri occidentali anche io sono molto colpito dalla sicurezza emotiva, dalla fiducia in sé, dalla curiosità e dall’autonomia dei membri delle società su piccola scala, non soltanto quando sono ormai adulti, ma già da bambini. Vediamo che i popoli di società anche piccolissime trascorrono molto più tempo a parlare tra loro di quanto facciamo noi e non ne trascorrono affatto in forme di intrattenimento passivo subito da mezzi come televisione, videogiochi e libri. In particolare siamo molto colpiti dal precoce sviluppo delle competenze sociali nei bambini. Queste sono qualità che la maggior parte di noi ammira, qualità che vorremmo vedere nei nostri stessi figli, mentre di fatto noi scoraggiamo lo sviluppo di queste qualità suddividendo i bambini per età, dando loro voti, dicendo loro continuamente che cosa debbano fare. Le crisi di identità adolescenziali che tormentano i teenager americani non esistono presso i giovani dei clan di cacciatori-raccoglitori. Gli occidentali che hanno avuto la possibilità di vivere presso di loro e in altre società su piccola scala ipotizzano che queste qualità ammirevoli si sviluppino proprio in conseguenza delle modalità con le quali si allevano i bambini: nello specifico, con incessanti rassicurazioni e stimoli, con un lungo periodo di allattamento, lasciando dormire per molti anni i piccoli accanto ai genitori, con una molteplicità di modelli sociali di allevamento dei bambini più estesa grazie all’alloparenting (“genitorialità diffusa”, in virtù della quale qualsiasi adulto della comunità si sente responsabile e assume all’occorrenza il ruolo di genitore, NdT), con molti più stimoli sociali trasmessi dal contatto fisico continuo e dalla vicinanza di chi presta loro cure, con tempestivi interventi di chi li alleva quando piangono, e meno punizioni corporali possibili.
Nelle moderne società industriali di oggi, tendiamo a seguire lo schema della lepre-antilope: la madre o qualcun altro in certi casi prende il neonato in braccio e lo tiene giusto il tempo di alimentarlo e giocare con lui, ma non lo tiene con sé di continuo. Il neonato trascorre gran parte del tempo durante il giorno in una culla o in un box e di notte dorme da solo, spesso in una stanza diversa da quella dei genitori. In ogni caso probabilmente abbiamo seguito il nostro modello ancestrale dei grandi primati per quasi tutta la lunga storia del genere umano, fino a circa un paio di millenni fa. Gli studi sugli odierni cacciatori-raccoglitori invece dimostrano che per tutta la giornata un neonato è tenuto quasi costantemente in braccio a contatto della madre o di chi se ne occupa. Quando la madre cammina, il neonato è collocato in appositi dispositivi di trasporto, come fasce e corde in Nuova Guinea, e tavole alle quali legarli nelle zone settentrionali temperate. La maggior parte delle tribù di cacciatori-raccoglitori, specialmente nei climi temperati, presenta un contatto a pelle costante tra il neonato e chi se ne prende cura. [...]
Per molti di noi la sola idea di legare un bambino a una tavola rigida fissata sulla schiena o di fasciare un neonato è orribile, o per lo meno lo è stata fino a quando in tempi recenti è ritornata in voga l’abitudine delle fasce. Il concetto di libertà personale per noi significa moltissimo e una tavola rigida o le fasce indubbiamente limitano la libertà personale di un neonato. Siamo propensi infatti a dare per scontato che una tavola rigida o le fasce ritardino lo sviluppo del bambino infliggendogli oltre tutto un duraturo danno psicologico. In realtà, tra i bambini navajo che nei primi mesi di vita sono tenuti legati a questo tipo di tavole e quelli che non lo sono stati, e tra i bambini navajo tenuti legati alle tavole rigide e i bambini angloamericani non sono state riscontrate differenze nella personalità o nelle capacità motorie, e neppure dal punto di vista dell’età alla quale si inizia a camminare autonomamente. [...]
Nelle società su piccola scala gli alloparent sono davvero importanti in qualità di fornitori integrativi di nutrimento e di protezione. Da qui gli studi che in tutto il mondo concordano nel dimostrare che la presenza della “genitorialità diffusa” migliora le probabilità del bambino di sopravvivere. Ma gli alloparent sono importanti anche dal punto di vista psicologico, in quanto costituiscono modelli sociali e influenze sociali al di là dei genitori veri e propri. [...]
Di quanta libertà o incoraggiamento devono godere i bambini per esplorare il loro ambiente? I bambini possono fare qualcosa di pericoloso, in previsione del fatto che devono imparare dai loro stessi errori? Oppure i genitori sono protettivi nei confronti della sicurezza dei propri figli e impediscono loro di esplorare e li allontanano qualora inizino a fare qualcosa di pericoloso?
La risposta a questi interrogativi varia da una società all’altra. In ogni caso, volendo generalizzare possiamo dire che l’autonomia dell’individuo, perfino in tenera età, è un ideale tenuto molto più in considerazione nelle tribù di cacciatori-raccoglitori rispetto alle società statali, nelle quali lo stato ritiene di avere un interesse precipuo nei bambini, e non vuole che si facciano male facendo ciò che vogliono e proibisce di conseguenza ai genitori di lasciare che un bambino si faccia male. (...)
Naturalmente, non sto dicendo che dovremmo imitare in tutto e per tutto le modalità di allevamento dei bambini da parte delle società di cacciatori-raccoglitori. Non raccomando di tornare a pratiche di infanticidio selettivo tipiche di quelle società, con alti rischi di mortalità alla nascita, né di lasciar giocare i bambini più piccoli con coltelli o correre il rischio concreto di lasciare che si ustionino. Anche altre caratteristiche dell’infanzia presso i cacciatori-raccoglitori – quali il permissivismo del gioco a sfondo sessuale – ci risultano imbarazzanti, anche se sarebbe difficile dimostrare che siano veramente dannosi per i bambini. Tuttavia altre modalità sono ormai adottate da cittadini di società statali, ma ad alcuni di noi risultano anch’esse imbarazzanti, per esempio lasciar dormire i bambini piccoli nello stesso letto dei genitori, allattarli fino all’età di tre o quattro anni, evitare ogni punizione corporale. Eppure alcune modalità di allevamento dei bambini delle società di cacciatori-raccoglitori potrebbero essere adatte alle nostre moderne società statali. Per noi è del tutto fattibile portare in giro i bambini in posizione verticale e rivolti verso la direzione in cui si procede invece che in posizione orizzontale all’interno di una carrozzina, o anche in posizione verticale ma rivolti verso la direzione opposta a quella in cui si procede all’interno di un marsupio. Potremmo anche rispondere tempestivamente e coerentemente al pianto di un bambino, come pure praticare in modo più allargato la genitorialità diffusa e cercare di creare un maggiore contatto fisico tra i neonati e coloro che gli prestano cure e assistenza. Potremmo incoraggiare i bambini a inventare da soli i giochi da fare invece che scoraggiarli di continuo e fornire loro incessantemente i cosiddetti complicati giochi educativi. Potremmo organizzare gruppi di gioco con bambini di varie età, invece di gruppi di gioco di coetanei, e infine potremmo saltare al massimo la libertà di un bambino di esplorare, purché sia sicuro farlo.
Ma le nostre impressioni di maggiore sicurezza, autonomia e competenze sociali adulte nelle società su piccola scala potrebbero per l’appunto essere soltanto impressioni: sono difficili da quantificare e dimostrare. Anche qualora tali impressioni corrispondano alla realtà, è difficile stabilire se siano il risultato diretto di un lungo periodo di allattamento, della genitorialità diffusa e così via. Come minimo, tuttavia, possiamo affermare che le pratiche di allevamento della prole da parte dei cacciatori-raccoglitori che ci paiono così estranee non sono poi disastrose, e non producono popolazioni di sociopatici evidenti. Anzi, esse creano individui capaci di affrontare le grandi sfide e i grandi pericoli pur continuando a godere della vita. Lo stile di vita dei cacciatori-raccoglitori ha funzionato più o meno in modo tollerabile per quasi centomila anni di storia del genere umano. Tutti nel mondo sono stati cacciatori-raccoglitori fino a quando circa undicimila anni fa non si scoprì l’agricoltura, e nessuno ha vissuto sotto un governo statale fino a 5.400 anni fa. Converrà pertanto tenere nella giusta considerazione le lezioni che possiamo apprendere da tutti questi esperimenti di allevamento della prole durati per un periodo così lungo.
Jared Diamond, The world until yesterday, 2012

© Newsweek, 2012
R2 Cultura - La Repubblica, 20 dicembre 2012
Traduzione di Anna Bissanti


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