América Latina, Fútbol, Rock'n'Roll

31 gennaio 2011

L'ultima sigaretta

L’Italia dice addio alle Manifatture Tabacchi
Era rimasta una sola fabbrica, chiuderà il 31 dicembre
E con lei scompare anche un pezzo della nostra storia

Quando frequentavo il liceo, nei lontani anni Quaranta del secolo scorso, molti dei miei compagni usavano andare a fumare di nascosto nei gabinetti durante le pause tra una lezione e l’altra. Io, malgrado ne avessi gran voglia, non lo facevo. Non perché avessi paura dei bidelli spioni, ma perché pensavo che il nervosismo della clandestinità avrebbe dimezzato il mio piacere. Così, mi ripromisi di fumare alla luce del sole, compiuti i diciotto anni.
I miei compagni fumatori arrivavano in genere muniti di una sola sigaretta tenuta dentro le pagine di un libro. L’avevano comprata dal tabaccaio prima di entrare a scuola, perché allora le sigarette si vendevano soprattutto sfuse; un intero pacchetto da dieci (non esistevano confezioni da venti) costava una cifra che le loro tasche non potevano permettersi.
La sigaretta non veniva fumata interamente in una volta sola, ma frazionata in almeno tre parti. L’ultima, per poter essere consumata sino a fondo senza bruciarsi i polpastrelli, la si infilava sopra uno spillo.
Le sigarette di maggior consumo erano le Popolari e le Nazionali, soprattutto perché costavano di meno, fatte di tabacco nero non trattato. Poi, durante la guerra, vennero fuori le Milit, un sottoprodotto delle Popolari, che venivano distribuite quasi gratuitamente alle forze armate. Si trattava di sigarette micidiali dalle quali emanava un fumo denso e spesso, fratello minore di quello delle locomotive a carbone, capace di far cadere stecchite le mosche. Sono convinto che alcune delle nostre sconfitte militari siano dovute all’uso di queste sigarette da genocidio. Molti preferivano fumarsi le Milit estraendone il tabacco e infilandolo nel fornello della pipa, come se fosse un trinciato forte.
Non era molto diffuso l’uso di rollarsi le sigarette da sé usando dita e cartine. Semmai, in tempi di magra, si rollavano le cicche che erano tenute accuratamente da parte dato che negli anni di guerra il tabacco fu razionato. E si usavano strani aggeggi meccanici per chi era incapace d’adoperare bene le dita.
A proposito, ricordo d’aver visto all’opera un autentico virtuoso del rollaggio, un marinaio spagnolo. Teneva in un’unica tasca tabacco sciolto, cartine e zolfanelli. Infilava la mano destra in tasca e dopo un po’ estraeva la sigaretta già bell’e pronta, gli bastava darle una leccatina per incollare la cartina. Poi metteva nuovamente la mano in tasca e la tirava fuori con uno zolfanello che accendeva sfregandolo tra il pollice e l’unghia dell’indice. Molto diffuse erano le Macedonia, più leggere delle prime due, con un tabacco qua e là ingentilito da qualche colpo di sole. Erano le sigarette della media borghesia, quelle che fumava mio padre.
I più raffinati compravano le Serraglio che erano leggermente più corte e più piatte delle altre ed erano contenute in eleganti pacchetti di cartone, mentre tutti gli altri pacchetti erano di carta spessa. Per i super raffinati c’erano le Xanthia, molto costose e rare.
Poche le donne fumatrici, a quei tempi era impensabile che una donna fumasse per esempio per strada, per loro venne creata una confezione molto elegante, bianca, con la marca, Eva, scritta a caratteri dorati.
Tutte questa sigarette erano prodotte dalle nostre manifatture che lavoravano il tabacco coltivato nel nostro territorio. Non mi ricordo d’aver mai visto in vendita nelle tabaccherie, almeno in quelle del Sud, prodotti stranieri. Durante la guerra i soldati tedeschi di stanza da noi in Sicilia furono molto avari delle loro sigarette, forse col tabacco se la passavano male e le loro razioni non largheggiavano. Comunque, non vidi mai un mio compagno fumare una sigaretta tedesca.
E qui devo confessare che io non ho mai fumato nessuna delle sigarette delle quali ho parlato. Perché quando compii diciotto anni e misi tra le labbra la prima sigaretta essa era una biondissima Senior Service inglese. Già, perché da un mese gli alleati erano sbarcati in Sicilia e le sigarette straniere si sprecavano.
Per completezza d’informazione, dirò che ben presto sono passato alle Camel e da queste alle Philip Morris che tuttora fumo.
Ma voglio concludere ricordando che il tipo di tabacco più comune coltivato a Lecce era lo Xanti-Yaca. Ad esso, Valerio Bondini, poeta salentino e gran traduttore di Garcia Lorca, ha dedicato una bella poesia. Ne cito alcuni versi, a titolo d’elegia per quelle coltivazioni di tabacco ormai per sempre perdute: «Al tempo dell’altra guerra contadini e contrabbandieri / si mettevano foglie di Xanti-Yaca / sotto le ascelle / per cadere ammalati. / Le febbri artificiali, la malaria presunta / di cui tremavano e battevano i denti, / erano il loro giudizio / sui governi e la storia»

© Andrea Camilleri
Cultura - La Repubblica, 19 dicembre 2010


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