América Latina, Fútbol, Rock'n'Roll

08 marzo 2010

Senza peccato non c'è redenzione

Eccolo, il senso ultimo dell'intera storia del Soul:
un suono perfettamente sospeso tra aspirazioni metafisiche ed esaltazione della carne

Otis Redding nel 1966 scrisse The Dictionary Of Soul in musica. Nel retro copertina di quel disco segnalò terminologie e quant’altro potesse servire come manuale di sopravvivenza musicale a chi voleva incamminarsi per un percorso impervio. Poche furono – in definitiva – le cose che Redding spiegò, e molte le cose lasciate non dette. E il motivo non è difficile da capire: la musica Soul era un concentrato di lecito e non lecito, e da un po’ aveva preso consapevolezza del proprio potenziale. La questione si era fatta pesante quando, nel 1964, Sam Cooke cantava A Change Is Gonna Come, una esortazione al popolo nero affinché cambiasse, crescesse e affrontasse il problema dei diritti di coscienza, mai avrebbe immaginato le risse nel quartiere di Watt, a Los Angeles, meno di 12 mesi dopo. […]

Il concetto di una musica nera per intrattenere cominciava proprio allora a vacillare. La negritudine, quella vera, la consapevolezza per meglio dire, occupava tutto il posto che la musica nera lasciava a disposizione del vero soul. Senza dimenticare che il vero soul ha più silenzi che note! E intanto avanzava un’attitudine diversa, fisica, terrena. Non era ancora Sexual Healing, ma qualcosa di simile. La strada della guarigione passava per la Chiesa. Perchè non ci può essere pentimento senza peccato. […]

Sesso, fede e blackness sono all’origine del soul, ma non basta descrivere il perimetro per capire il paradigma: si tratta di andare più a fondo, scavare nelle ragioni e prendere ciò che viene nella sua totalità. Il soul infatti si evolve con i tempi che cambiano. Pensateci: si tratta di riposizionare il gospel e il suo significato. E il gospel non solo redime il peccato, ma nel ripulire lascia un alone. Si chiama senso di colpa, e – tradotto in musica – è la sinusoide fra la noia e il desiderio. […]

Inginocchiate davanti a un confessionale ci si sono trovate un po’ tutte le star della musica nera, soul e non soul, chi prima e chi dopo. Da Little Richard al Prince di Sexy MF. Il rapporto voluto/dovuto fra demonio e santità non si è mai affievolito. E, naturalmente, i pastori – di qualsiasi religione esse fossero – non se lo sono fatti ripetere due volte. Come veri “Uomini Medicina”, hanno rivenduto le debolezze umane, amplificato le trasgressioni (coprendo frequentemente le proprie), inventato “mostri”, esorcizzato il demonio e le sue canzoni, manipolato, contraffatto, acconsentito. Tutto nel nome del Signore e del Sesso. Non esisteva l’uno senza l’altro. […]

Father Herrera [che dopo la stampa del suo primo ed unico album riceve offerte da ogni parte e organizza preghiere collettive salvo poi ritrovarlo tre anni dopo sul ciglio di una strada colpito da 11 coltellate mentre riesce a pronunciare solo la frase: «I feel like a sex machine»] era figlio di una catena di eventi: gli stessi che negli anni immediatamente precedenti avevano formato la percezione della blackness nera o dei white nigger. […] Fra demoni e santità, allora come oggi, si consumava il peccato della carne. Don’t Call Me Nigger, Whitey! Isaac Hayes, da un certo giorno in poi maestro del malinteso e Mosè Nero della consapevolezza (dopo un fallimento che lo mise sul bordo del baratro ), mi spiegò la declinazione del nuovo Dizionario del Soul, quello che mischiava negritudine, peccato e redenzione: «Non me ne importa niente», mi disse, facendomi sedere nel backstage del Porretta Soul Festival 2006. «Non m’importa di quello che ho perso, perché restano le canzoni che ho scritto. E la gente, tu lo sai, è stata raggiunta dalla loro forza. La mia musica è vibrazione, è amore, e niente potrà cancellare l’amore. E l’amore è peccato e il peccato è amore».

© Ernesto De Pascale
RollingStone Magazine, marzo 2010

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