Eccolo, il senso ultimo dell'intera storia del Soul:
un suono perfettamente sospeso tra aspirazioni metafisiche ed esaltazione della carne
Otis Redding nel 1966 scrisse The Dictionary Of Soul in musica. Nel retro copertina di quel disco segnalò terminologie e quant’altro potesse servire come manuale di sopravvivenza musicale a chi voleva incamminarsi per un percorso impervio. Poche furono – in definitiva – le cose che Redding spiegò, e molte le cose lasciate non dette. E il motivo non è difficile da capire: la musica Soul era un concentrato di lecito e non lecito, e da un po’ aveva preso consapevolezza del proprio potenziale. La questione si era fatta pesante quando, nel 1964, Sam Cooke cantava A Change Is Gonna Come, una esortazione al popolo nero affinché cambiasse, crescesse e affrontasse il problema dei diritti di coscienza, mai avrebbe immaginato le risse nel quartiere di Watt, a Los Angeles, meno di 12 mesi dopo. […]

Sesso, fede e blackness sono all’origine del soul, ma non basta descrivere il perimetro per capire il paradigma: si tratta di andare più a fondo, scavare nelle ragioni e prendere ciò che viene nella sua totalità. Il soul infatti si evolve con i tempi che cambiano. Pensateci: si tratta di riposizionare il gospel e il suo significato. E il gospel non solo redime il peccato, ma nel ripulire lascia un alone. Si chiama senso di colpa, e – tradotto in musica – è la sinusoide fra la noia e il desiderio. […]
Inginocchiate davanti a un confessionale ci si sono trovate un po’ tutte le star della musica nera, soul e non soul, chi prima e chi dopo. Da Little Richard al Prince di Sexy MF. Il rapporto voluto/dovuto fra demonio e santità non si è mai affievolito. E, naturalmente, i pastori – di qualsiasi religione esse fossero – non se lo sono fatti ripetere due volte. Come veri “Uomini Medicina”, hanno rivenduto le debolezze umane, amplificato le trasgressioni (coprendo frequentemente le proprie), inventato “mostri”, esorcizzato il demonio e le sue canzoni, manipolato, contraffatto, acconsentito. Tutto nel nome del Signore e del Sesso. Non esisteva l’uno senza l’altro. […]
Father Herrera [che dopo la stampa del suo primo ed unico album riceve offerte da ogni parte e organizza preghiere collettive salvo poi ritrovarlo tre anni dopo sul ciglio di una strada colpito da 11 coltellate mentre riesce a pronunciare solo la frase: «I feel like a sex machine»] era figlio di una catena di eventi: gli stessi che negli anni immediatamente precedenti avevano formato la percezione della blackness nera o dei white nigger. […] Fra demoni e santità, allora come oggi, si consumava il peccato della carne. Don’t Call Me Nigger, Whitey! Isaac Hayes, da un certo giorno in poi maestro del malinteso e Mosè Nero della consapevolezza (dopo un fallimento che lo mise sul bordo del baratro ), mi spiegò la declinazione del nuovo Dizionario del Soul, quello che mischiava negritudine, peccato e redenzione: «Non me ne importa niente», mi disse, facendomi sedere nel backstage del Porretta Soul Festival 2006. «Non m’importa di quello che ho perso, perché restano le canzoni che ho scritto. E la gente, tu lo sai, è stata raggiunta dalla loro forza. La mia musica è vibrazione, è amore, e niente potrà cancellare l’amore. E l’amore è peccato e il peccato è amore».
© Ernesto De Pascale
RollingStone Magazine, marzo 2010
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