América Latina, Fútbol, Rock'n'Roll
15 novembre 2009
Perdita e riconquista della socialità
Nel suo saggio pubblicato nel 2000 sotto il nome di Liquid Modernity, Zygmund Bauman parlava di Società Liquida, spiegandone il carattere ormai non più controvertibile, ossia il suo slegamento fra le persone o i gruppi di persone che ne fanno parte. Le logiche del capitale, della politica intesa come esercizio del potere e della coercizione la fanno da padrona, e in tutto questo la paura ricopre un ruolo fondamentale. E quando parlo di paura mi riferisco sia alle speranze per un futuro quanto mai incerto, come oggi pare che vada quasi di moda definire, sia a quelle che ci vengono imposte. E ora sarebbe perfino banale tirare in causa stati, governi o mezzi di comunicazione di massa, per cui mi limiterò esclusivamente a puntare il dito verso il nostro egoismo e la nostra poca propensione all’ascolto e all’assecondare. Perfino il fatto di chiamare in causa continuamente politici o chi per loro, come se fossero l’unica causa del degrado della nostra socialità, è un modo per aggirare problemi che nascono da periodi a noi vicini e dei quali noi stessi siamo la causa scatenante. Scaricare le responsabilità solo su di loro è un errore imperdonabile oltre che egoistico: è la società che riflette la classe politica o piuttosto è vero il contrario, che “è la società che si riflette nella classe politica”?. A questa domanda non si è mai data una risposta concreta. Il punto fondamentale della mia “critica”, di questo smarrimento di senso estetico è, tornando a Bauman, la perdita del senso di socialità che in questi anni ha raggiunto livelli trascendentali e per i quali solo oggi si assiste ad un parziale risveglio dopo anni di intorpidimento sociale. Quello che serve oggi è un ritorno a queste antiche forme di socialità commisurate alla modernità delle tecnologie che stiamo vivendo, è chiaro. Da qui voglio rimarcare l’importanza che risiede negli spazi sociali che sono stati via via svuotati di significato e che sarebbe necessario recuperare. In primis le piazze, luoghi di aggregazione per eccellenza stanno vivendo una fase di inutilizzo ed involuzione di quel ruolo che ricoprivano originariamente. Questo loro spazio è libero per definizione, da preconcetti, da forme di negazione e di negatività. La piazza ci regala una forma urbana vivibile ed accondiscendente, assolutamente positiva e sociale nella sua forma più classica, al solo patto che la si viva con quella civiltà necessaria per farla restare tale. Ma bisogna anche saperlo vivere lo spazio pubblico ed è proprio per questo che ammiro e invidio coloro che, ad oggi, ne sono i maggiori fruitori ovvero gli immigrati ed in particolare gli extracomunitari: essi hanno la capacità di vivere la piazza come momento integrativo e sociale centrale nella giornata; ne capiscono il fine e l’utilizzo che si deve fare di essa. La più grande differenza di socialità che esiste fra queste due visioni è da ricercare proprio qui, nel fatto che coloro che riescono ad utilizzare la cosa pubblica lo vivono come un momento educativo che quindi viene a rappresentare un collante determinante nella formazione della socialità. Gli altri spesso si chiudono invece in locali o spazi chiusi di qualsiasi tipo. Non che questo sia di per sé un male, ma viene così tralasciata costantemente la vita dello spazio pubblico, necessaria per creare una piena socialità. Questa difformità ricalca ovviamente anche la diversa realtà economico-sociale che caratterizza i differenti paesi. La post-modernità sarà l’era dell’iper-tecnologia e tutto questo non può far altro che provocare in futuro una specie di “ritorno alle origini”, anche in termini di rapporti sociali.
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